IL DOCUMENTO: così è nata l'AlfaSud

 Ecco il discorso ufficiale di Rudolf Hruska al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia nel giugno del 1991 per la conferenza "La nascita dell’Alfasud"


di Rudolf Hruska

Sono onorato per la vostra presenza e per quella del dott. Luraghi, che tanto ha fatto per l’Italia in tempi in cui veniva detto che era impossibile costruire auto nel Sud, anche da parte del Numero Uno dell’automobile italiana.

Riandando a periodi che precedettero l’Alfa-Sud, ricordo che, nel 1959, lasciai l’Alfa-Romeo (costretto a dare le dimissioni, intendiamoci). Volevo tornare alla Porsche e avevo ricevuto l’offerta di dirigere la BMW. In quegli stessi giorni, a Torino, mi si offriva la collaborazione diretta al top management. La consulenza all’ing. Bono si svolse sia alla Fiat che alla Simca cosicché per anni la mia vita si svolse tra Torino e Parigi, finché non fui chiamato dal dott. Luraghi, che mi parlò di certi particolari programmi. Al mio rientro a Milano, si sono precisati gli obiettivi desiderati ed è da qui che comincia la storia dell’Alfa-Sud.

Il prodotto, ovviamente, doveva essere “aggiuntivo” alla gamma Alfa-Romeo. Era necessario predisporre un “cahier de charge”, cosa che ho fatto in un piccolo ufficio vicino all’Alfa. Si stava in posti riservati perché c’erano già in giro dei giornalisti che erano interessati a sapere qualche

notizia. Si doveva progettare e mettere in serie una nuova vettura e anche costruire ex-novo la fabbrica che l’avrebbe prodotta. Era necessario eseguire un pre-studio che doveva contemplare gli investimenti globali il costo della vettura, il sistema organizzativo, il personale necessario, le tempificazioni.

Il dott. Luraghi non poteva fornire il personale poiché le risorse Alfa erano impegnate per lo stabilimento di Arese, che era allora in fase di completamento. Una prima risposta al problema venne da ex-personale Simca che in quel periodo era stata venduta dalla Fiat alla Chrysler; si trattava di persone, 28 per la precisione, quasi tutte italiane, molto esperte in personale, organizzazione, tecnologie, impiantistica e amministrazione.

Per il progetto, il dott. Luraghi mi mandò la persona che mi sta accanto assieme a qualche altro. Fu così che si iniziò lo studio della parte meccanica della vettura. Alla metà gennaio 1968, è stata fatta la prima presentazione al management della Finmeccanica. Furono predisposti un modello in gesso della vettura (a 4 porte), un modello di abitabilità, un espanso della giardinetta e tutta la documentazione necessaria nella quale si indicava in 300 miliardi di lire l’investimento totale, 60 dei quali erano previsti per il prodotto (progetto, prototipi, messa a punto ecc.). Il piano prevedeva l’inizio della produzione al primo gennaio 1972. Erano quindi disponibili 4 anni per creare il prodotto e la fabbrica. In quindici giorni ricevemmo l’OK e si iniziò a lavorare attivamente.

Desidero ora alla fine dire che andammo in produzione con tre mesi di ritardo perché avemmo quasi un milione di ore di scioperi in cantiere. Questo avvenne nel 1968, anno di elezioni: un politico della zona, rivolto agli operai dei cantieri, disse: “voi dovete essere assunti poiché siete voi a fare l’Alfa-Sud e non quelli lì”.

Malgrado la diffusa opinione che la fabbrica e la macchina non sarebbero nate in quei tempi (molti erano convinti che non sarebbero mai nate!) e le difficoltà nei cantieri, si ritardò di soli tre mesi, mentre i consuntivi indicavano la rimanenza di 25 miliardi di lire rispetto al budget previsto. Debbo ricordare che gli anni ‘70 furono segnati da scioperi in tutta Italia. Moltissime furono le fermate allo stabilimento, si lavorava a singhiozzo con conseguenze sulla qualità, non ultima la ruggine. Ricordo anche, di sfuggita, che in quegli anni fui accusato di spionaggio industriale.

Adesso parliamo del prodotto. La vettura doveva essere un’utilitaria di lusso, una vettura a 5 posti con bagagliaio molto capiente. Si doveva trattare, naturalmente, di un’Alfa Romeo. Scontato che la vettura era a trazione anteriore, si voleva il motore in asse vettura per poter realizzare facilmente la versione a 4 ruote motrici (eravamo nel 1967!). Fu scartato il 4 cilindri in linea perché troppo lungo: il 4 cilindri a V ed il contrapposto erano abbastanza corti, e l’ultimo fu il preferito perché più basso e molto bilanciato. Fu così possibile realizzare una berlina piuttosto bassa con una buona visibilità anteriore.

Per lo stile della vettura mi sono avvalso di Giugiaro, col quale avevo già lavorato quando collaborava con Bertone e realizzammo l’850 per la Fiat. Per l’aerodinamica si puntava ad un coefficiente di 0,40 onde essere competitivi. La lunghezza totale della vettura non doveva superare i

3,85 metri. Un discorso particolare va fatto per le dimensioni del bagagliaio: a quell’epoca possedevo una valigia di grandi dimensioni che mi consentiva di stare in giro otto-dieci giorni. Sistemate due valigie nel simulacro dissi a Giugiaro di piazzarne altre due. Così è nata la parte terminale della vettura. Faccio notare che le quattro valigie non ci stanno su vetture moderne come la Thema e la 164.

Tornando all’Alfa-Sud, il due volumi, che nacque come conseguenza del desiderato bagagliaio, comportò una coda alta ed un lunotto la cui inclinazione, rispetto al piano verticale della coda, risultò tale da mantenersi pulito contrariamente a quanto accadeva alle Station Wagon o alle berline con piano lunotto piuttosto verticale. Tutto questo in virtù dei flussi d’aria che impedivano la risalita dei vortici dai terminali di scarico e che investono normalmente la parete verticale posteriore. Conseguenza del volume libero richiesto alla bagagliera sono state le cerniere esterne poiché i compassi interni avrebbero impedito il raggiungimento di tale obiettivo.

Per quanto riguarda la motorizzazione, la vettura nacque con una cilindrata modesta poiché la Direzione Commerciale temeva la cannibalizzazione con altri modelli di cilindrata più elevata. Oggi questo distanziamento motoristico fra vetture di segmenti diversi non esiste più e si ritrova sinergia commerciale con questo tipo di strategia estesa ai vari modelli della Casa.

La vettura doveva pesare a secco 800 kg. Abbiamo superato di circa 30 kg questo valore, in buona parte per causa di pneumatici e cerchi. La vettura era destinata a crescere di cilindrata e prestazioni e si decise di adottare, sin dall’inizio, pneumatici e cerchi adeguati, che pesavano circa 15 kg in più di quelli della 128 Fiat.

Parliamo ora dello stabilimento: è interessante ricordare che non adoperammo cemento, ma strutture metalliche. I vantaggi stavano nel facile intervento se si desiderava cambiare e nella possibilità di prefabbricare le dette strutture. Ricordo che costruimmo i Reparti con altezza di due metri e mezzo superiore agli altri stabilimenti dell’epoca. Per quanto riguarda l’impianto idraulico esso assicurava il riscaldamento d’inverno ed un certo raffrescamento d’estate. Prima di scaricare definitivamente l’acqua utilizzata in stabilimento si effettuavano più ricicli e questo riduceva notevolmente i consumi. Tutto questo e altro è stato possibile anche per le conoscenze di quei 28 collaboratori venuti dalla Simca, che avevano una esperienza di trenta-quaranta anni in industrie similari.

Avevamo definito in 50 ore il tempo di fabbricazione della vettura. Si puntava, dopo un adeguato periodo di addestramento delle persone del primo turno, ad arrivare a 45 ore per la cosiddetta vettura base o standard. Il costo corrispondente, o costo standard, è la base di partenza per tutti gli altri costi che vengono ottenuti aggiungendo i costi delle varianti delle vetture derivate, gli opzionali, ecc. Con mio dispiacere, per molto tempo tutto ciò non è stato apprezzato e solo oggi è stato espresso apprezzamento per questa fabbrica che è tuttora moderna.

Non avevamo i robot, non li aveva nessuno, ma tutti i programmi sono stati raggiunti, siamo andati in produzione dopo 4 anni e costruimmo al tempo programmato le cento vetture di pre-serie. Posso dire che questo è avvenuto perché c’è stata una collaborazione mutua molto stretta. Oggi si sta allargando Pomigliano: verrà portata, pare, la produzione a 1500 vetture al giorno e ciò conferma ancora che lo stabilimento era razionale.

Riandando per un momento al lontano passato ricordo che sono stato fino al 1959 in Alfa e la mente va a tante cose: alle trecento ore impiegate per il montaggio di ogni motore della 1900, alla pulizia di tutti i rottami che erano in magazzino (erano tenuti fermi per il bilancio di fine d’anno!) ecc. Ero arrivato in Italia per realizzare la monoposto Cisitalia ed ho imparato a conoscere gli italiani. Sono rapidissimi nell’apprendere ma bisogna seguirli fino in fondo; con i tedeschi si discute molto tempo prima di partire, poi, però, si può andare in vacanza. Questa è la differenza.

Debbo citare, prima di finire, uno sgradevole episodio a causa di certi articoli apparsi sul giornale II Borghese. Non sopportando questa situazione andai a trovare il direttore della rivista, il senatore Tedeschi. Avemmo un colloquio di due ore e mezzo al termine del quale egli decise di non scrivere più contro l’Alfa-Sud: impegno che mantenne. In seguito, disse a un comune amico di aver discusso con uno degli ultimi Asburgo. Sulla situazione Alfa di oggi ci sarebbe da discutere molto, ma voglio solo riferire quanto ha recentemente dichiarato il Direttore Generale dell’Audi, un nipote del Prof. Porsche. In un’intervista a un giornalista, ha definito l’Audi l’azienda nobile della Volkswagen e ha ammesso che, mentre dal punto di vista della qualità Audi e VW sono eguali, prestazioni e prodotto debbono essere differenti. Se non fosse così l’Audi sarebbe destinata a chiudere. A Torino non si è capito che per l’Alfa è la stessa cosa, ma la Ford, pare, l’aveva ben compreso.

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