Alfa Romeo Alfa 90, la chiamavano K2
Fra le tante caratteristiche d’avanguardia, l’Alfa 90 ne presenta alcune che il grande pubblico non è in grado di apprezzare ma che per la Casa del Biscione e per gli uomini che vi lavorano rappresentano un motivo di legittimo orgoglio.
Il progetto dal quale è scaturita la nuova berlina compatta di qualità, infatti, è stato delineato, impostato, sviluppato e portato al traguardo dell’industrializzazione non soltanto in tempi incredibilmente brevi, ma in un clima di strettissima cooperazione fra le tante componenti aziendali coinvolte: cooperazione che ha consentito di tradurre in realtà, nonostante gli strettissimi vincoli cronologici che condizionavano il progetto K2 (così lo si è sempre chiamato in azienda fino alla vigilia, si potrebbe dire, del lancio commerciale), modi di operare profondamente innovativi sia per quanto riguarda i processi di industrializzazione, sia circa l’assicurazione della qualità. I termini di tempo di quella che possiamo definire la gestazione della 90, che ha inizio con la presentazione al management aziendale di modellini di stile e si conclude con l’avvio della produzione in serie, distano fra loro di soli 26 mesi, quanti ne intercorrono fra l’aprile 1982 ed il luglio 1984: un autentico primato se si considera che il nuovo modello, pur beneficiando del prezioso bagaglio di know-how tecnico ereditato dall’Alfetta, è sotto moltissimi aspetti, anzi in misura nettamente prevalente, un’automobile integralmente nuova e contiene in sé una carica eccezionalmente ricca di innovazione tecnica.
Questa valutazione risulta ulteriormente rafforzata se si considera che la 90 nasce con cinque diverse motorizzazioni e che in coincidenza con il suo lancio commerciale sono in avanzata fase di sviluppo ulteriori sue versioni, destinate a fare la loro comparsa in tempi relativamente ravvicinati. La severità delle limitazioni cronologiche imposte per lo sviluppo del progetto K2 (a titolo di curiosità, la scelta di questa sigla non ha alcun legame di natura alpinistica, ma si riallaccia a una terminologia convenzionale nella quale il numero 2 esprime un coefficiente proporzionale al grado di rinnovamento previsto rispetto al modello precedente) ha impedito fra l’altro che in esso fosse inserita, come per il passato, una fase preliminare riservata agli studi cosiddetti d’avanprogetto, durante i quali tradizionalmente veniva verificata la fattibilità industriale del modello allo studio, su un piano ancora prevalentemente teorico.
Nonostante ciò l’ Alfa 90, quale si presenta nella sua versione definitiva ormai in produzione, realizza nella misura media del 90 per cento gli obiettivi che erano stati formulati su base teorica nel capitolo d’oneri preliminare nel progetto K2 sia per quanto riguarda la produzione dei pesi, il miglioramento delle prestazioni, la riduzione dei consumi, sia in termini di miglioramento del confort, di arricchimento delle dotazioni, di contenimento dei costi d’esercizio.
La data di partenza della fase esecutiva del progetto K2 – che per la precisione assume da quel momento, nella terminologia aziendale, la nuova sigla 162 – è come si è visto l’Aprile 1982.
A quell’epoca risale l’incarico formale per la stilizzazione della nuova vettura conferito al carrozziere Bertone. Contemporaneamente ha inizio, all’interno della Direzione ricerche ed esperienze Alfa Romeo, l’emissione dei cosiddetti “disegni E” destinati ai diversi settori chiamati a compartecipare alla sviluppo del progetto (i “disegni E” si possono considerare come il primo stadio della lunga e articolata fase destinata a sfociare nell’approntamento dei disegni esecutivi d’industrializzazione, detti anche “disegni A”). Vale la pena di sottolineare che nella cadenza cronologica inizialmente stabilita l’emissione dei “disegni E” si sarebbe dovuta concludere nel febbraio 1983 e che essa ebbe termine, invece, assai più tardi, nel giugno dello stesso anno. Non si trattò, però, di un episodio di disfunzione nella strategia di sviluppo del progetto, bensì di una conseguenza del fatto che il modello162 era stato prescelto per la prima attuazione pratica del “nuovo modo di fare l’auto” che avrebbe dovuto costituire il momento di maggiore significato nel programma di aggiornamento tecnologico e organizzativo del complesso produttivo di Arese e che a Pomigliano d’Arco era già stato parzialmente applicato in occasione dell’industrializzazione dell’Alfa “33”.
Per questa ragione la prima fase dello stadio di attuazione del progetto 162 fu assai più ricca di imprevisti da affrontare e risolvere e di cambiamenti decisionali introdotti in corso di sviluppo del processo stesso (modifiche alle caratteristiche dei motori, adozione di nuovi componenti nell’ambito degli accordi produttivi con altre Case etc.) rispetto a quanto di norma si era verificato nei precedenti nuovi modelli da avviare alla produzione. La tappa successiva della storia aziendale della 90 si può fissare all’ottobre 1983, quando siconclude la sperimentazione condotta con il primo esemplare- pilota approntato già dal dicembre dell’anno precedente, che dapprima è stato sottoposto a verifiche della resistenza strutturale (risulta superiore a quella dell’Alfetta, nonostante la sensibile riduzione di peso conseguita) e successivamente ha affrontato con esito incoraggiante prove di lunga percorrenza su fondo stradale particolarmente impegnativo (pavé di tipo belga) prima di essere sottoposto con risultato altre tanto positivo alla prova d’urto contro barriera.
Ma nel frattempo il progetto 162 è andato considerevolmente avanti sulle direttrici di altri programmi di sperimentazione, riguardanti più da vicino le problematiche della realizzazione industriale della nuova vettura.
In questi programmi è intervenuta direttamente, in parallelo con la Direzione Ricerche ed Esperienze, anche la Direzione Qualità con il coinvolgimento dei massimi responsabili delle tecnologie costruttive, chiamati a verificare ed ad assicurare, in anticipo rispetto al momento della loro materiale entrata in scena, la congruenza del progetto con le esigenze proprie del processo di fabbricazione.
Anche lungo questa direttrice dello sviluppo del progetto i tempi sono stati accelerati al massimo, tanto che già nel settembre 1983 si è completata la definizione della fase di primo montaggio. La conclusione di questo capitolo particolare della storia aziendale dell’Alfa Romeo, che ormai prelude direttamente all’avvio della produzione in linea della 90, si registra in concomitanza con la fine del 1983, quando termina l’emissione di quei “disegni A” di cui si è già descritto il ruolo.
È il caso di rilevare che un paio di mesi prima aveva avuto inizio l’attrezzamento della fabbrica in vista della produzione di serie. In tempi immediatamente successivi a questo traguardo, che segna il definitivo “congelamento” del progetto, avviene il completamento delle verifiche di fabbricazione, per le quali ci si avvale di due serie successive di “prototipi di industrializzazione” della vettura: nel corso della loro realizzazione vengono progressivamente messe a punto le procedure di assemblaggio e di montaggio nonché le tolleranze relative alla dimensionatura delle singole parti costituite (questi prototipi di industrializzazione non si devono confondere con i prototipi sperimentali del nuovo modello, cronologicamente antecedenti, che nel caso dell’Alfa 90 sono stati complessivamente 13 e il cui compito è stato quello di consentire il più approfondito collaudo, sulla pista di Balocco e su strada nelle varie regioni e con climi più impegnativi, della funzionalità, dell’affidabilità e della resistenza della vettura in generale e dei singoli organi in particolare). La fase terminale delle verifiche di fabbricazione, conclusi l’allestimento e i collaudi dei prototipi di industrializzazione, avviene con la progressiva uscita dalla linea-pilota di montaggio di due successive preserie dell’Alfa 90, composte rispettivamente da 35 e da 40 esemplari, la cui nascita è concomitante con il definitivo “rodaggio”del ciclo produttivo. Parallelamente hanno inizio le procedu e di omologazione del nuovo modello, che si protrarranno complessivamente per tre mesi e mezzo.
Questa sintetica cronistoria ha consentito di mettere in luce il profondo significato che, per la vita aziendale dell’Alfa Romeo, ha rivestito il capitolo relativo alla progettazione, alla sperimentazione e all’avvio produttivo della nuova compatta di qualità che andrà sotto il nome di Alfa 90: significato che va molto al di là di quello della semplice nascita di un nuovo modello, sia per la carica innovativa insita nel prodotto stesso e per il ruolo primario che gli è affidato nella strategia di rilancio della Marca del Biscione, sia per il contemporaneo avvio anche nel complesso produttivo di Arese di significativi cambiamenti dei processi di fabbricazione, all’insegna del “nuovo modo di fare l’auto”. Ma ne è emersa anche la confortante dimostrazione dell’intenso impegno e del convinto auto-coinvolgimento degli uomini che, a tutti i livelli della gerarchia aziendale, sono stati chiamati ad operare in condizioni sotto molti aspetti eccezionali. È evidentemente impossibile citare in questa sede tutti questi uomini.
Una doverosa citazione, che ci auguriamo non lasci troppo scontenti gli esclusi, meritano comunque quelli più direttamente investiti di responsabilità decisionali: Giorgio Guelfi, incaricato con Gian Mario Stucchi del coordinamento del progetto; Lorenzo Rotti, che con Franco Mendicino ha curato lo sviluppo della scocca; Edoardo Rogora, responsabile per l’impianto elettrico (un settore particolarmente impegnativo sull’Alfa 90, vettura profondamente innovativa anche sotto questo specifico aspetto); Giulio Arrigoni, coordinatore della verifica e della sperimentazione; Giorgio D’Auria, responsabile della qualità; Enrico Dolce, che curato tutti gli adempimenti relativi all’omologazione.
Il progetto dal quale è scaturita la nuova berlina compatta di qualità, infatti, è stato delineato, impostato, sviluppato e portato al traguardo dell’industrializzazione non soltanto in tempi incredibilmente brevi, ma in un clima di strettissima cooperazione fra le tante componenti aziendali coinvolte: cooperazione che ha consentito di tradurre in realtà, nonostante gli strettissimi vincoli cronologici che condizionavano il progetto K2 (così lo si è sempre chiamato in azienda fino alla vigilia, si potrebbe dire, del lancio commerciale), modi di operare profondamente innovativi sia per quanto riguarda i processi di industrializzazione, sia circa l’assicurazione della qualità. I termini di tempo di quella che possiamo definire la gestazione della 90, che ha inizio con la presentazione al management aziendale di modellini di stile e si conclude con l’avvio della produzione in serie, distano fra loro di soli 26 mesi, quanti ne intercorrono fra l’aprile 1982 ed il luglio 1984: un autentico primato se si considera che il nuovo modello, pur beneficiando del prezioso bagaglio di know-how tecnico ereditato dall’Alfetta, è sotto moltissimi aspetti, anzi in misura nettamente prevalente, un’automobile integralmente nuova e contiene in sé una carica eccezionalmente ricca di innovazione tecnica.
Questa valutazione risulta ulteriormente rafforzata se si considera che la 90 nasce con cinque diverse motorizzazioni e che in coincidenza con il suo lancio commerciale sono in avanzata fase di sviluppo ulteriori sue versioni, destinate a fare la loro comparsa in tempi relativamente ravvicinati. La severità delle limitazioni cronologiche imposte per lo sviluppo del progetto K2 (a titolo di curiosità, la scelta di questa sigla non ha alcun legame di natura alpinistica, ma si riallaccia a una terminologia convenzionale nella quale il numero 2 esprime un coefficiente proporzionale al grado di rinnovamento previsto rispetto al modello precedente) ha impedito fra l’altro che in esso fosse inserita, come per il passato, una fase preliminare riservata agli studi cosiddetti d’avanprogetto, durante i quali tradizionalmente veniva verificata la fattibilità industriale del modello allo studio, su un piano ancora prevalentemente teorico.
Nonostante ciò l’ Alfa 90, quale si presenta nella sua versione definitiva ormai in produzione, realizza nella misura media del 90 per cento gli obiettivi che erano stati formulati su base teorica nel capitolo d’oneri preliminare nel progetto K2 sia per quanto riguarda la produzione dei pesi, il miglioramento delle prestazioni, la riduzione dei consumi, sia in termini di miglioramento del confort, di arricchimento delle dotazioni, di contenimento dei costi d’esercizio.
La data di partenza della fase esecutiva del progetto K2 – che per la precisione assume da quel momento, nella terminologia aziendale, la nuova sigla 162 – è come si è visto l’Aprile 1982.
A quell’epoca risale l’incarico formale per la stilizzazione della nuova vettura conferito al carrozziere Bertone. Contemporaneamente ha inizio, all’interno della Direzione ricerche ed esperienze Alfa Romeo, l’emissione dei cosiddetti “disegni E” destinati ai diversi settori chiamati a compartecipare alla sviluppo del progetto (i “disegni E” si possono considerare come il primo stadio della lunga e articolata fase destinata a sfociare nell’approntamento dei disegni esecutivi d’industrializzazione, detti anche “disegni A”). Vale la pena di sottolineare che nella cadenza cronologica inizialmente stabilita l’emissione dei “disegni E” si sarebbe dovuta concludere nel febbraio 1983 e che essa ebbe termine, invece, assai più tardi, nel giugno dello stesso anno. Non si trattò, però, di un episodio di disfunzione nella strategia di sviluppo del progetto, bensì di una conseguenza del fatto che il modello162 era stato prescelto per la prima attuazione pratica del “nuovo modo di fare l’auto” che avrebbe dovuto costituire il momento di maggiore significato nel programma di aggiornamento tecnologico e organizzativo del complesso produttivo di Arese e che a Pomigliano d’Arco era già stato parzialmente applicato in occasione dell’industrializzazione dell’Alfa “33”.
Per questa ragione la prima fase dello stadio di attuazione del progetto 162 fu assai più ricca di imprevisti da affrontare e risolvere e di cambiamenti decisionali introdotti in corso di sviluppo del processo stesso (modifiche alle caratteristiche dei motori, adozione di nuovi componenti nell’ambito degli accordi produttivi con altre Case etc.) rispetto a quanto di norma si era verificato nei precedenti nuovi modelli da avviare alla produzione. La tappa successiva della storia aziendale della 90 si può fissare all’ottobre 1983, quando siconclude la sperimentazione condotta con il primo esemplare- pilota approntato già dal dicembre dell’anno precedente, che dapprima è stato sottoposto a verifiche della resistenza strutturale (risulta superiore a quella dell’Alfetta, nonostante la sensibile riduzione di peso conseguita) e successivamente ha affrontato con esito incoraggiante prove di lunga percorrenza su fondo stradale particolarmente impegnativo (pavé di tipo belga) prima di essere sottoposto con risultato altre tanto positivo alla prova d’urto contro barriera.
Ma nel frattempo il progetto 162 è andato considerevolmente avanti sulle direttrici di altri programmi di sperimentazione, riguardanti più da vicino le problematiche della realizzazione industriale della nuova vettura.
In questi programmi è intervenuta direttamente, in parallelo con la Direzione Ricerche ed Esperienze, anche la Direzione Qualità con il coinvolgimento dei massimi responsabili delle tecnologie costruttive, chiamati a verificare ed ad assicurare, in anticipo rispetto al momento della loro materiale entrata in scena, la congruenza del progetto con le esigenze proprie del processo di fabbricazione.
Anche lungo questa direttrice dello sviluppo del progetto i tempi sono stati accelerati al massimo, tanto che già nel settembre 1983 si è completata la definizione della fase di primo montaggio. La conclusione di questo capitolo particolare della storia aziendale dell’Alfa Romeo, che ormai prelude direttamente all’avvio della produzione in linea della 90, si registra in concomitanza con la fine del 1983, quando termina l’emissione di quei “disegni A” di cui si è già descritto il ruolo.
È il caso di rilevare che un paio di mesi prima aveva avuto inizio l’attrezzamento della fabbrica in vista della produzione di serie. In tempi immediatamente successivi a questo traguardo, che segna il definitivo “congelamento” del progetto, avviene il completamento delle verifiche di fabbricazione, per le quali ci si avvale di due serie successive di “prototipi di industrializzazione” della vettura: nel corso della loro realizzazione vengono progressivamente messe a punto le procedure di assemblaggio e di montaggio nonché le tolleranze relative alla dimensionatura delle singole parti costituite (questi prototipi di industrializzazione non si devono confondere con i prototipi sperimentali del nuovo modello, cronologicamente antecedenti, che nel caso dell’Alfa 90 sono stati complessivamente 13 e il cui compito è stato quello di consentire il più approfondito collaudo, sulla pista di Balocco e su strada nelle varie regioni e con climi più impegnativi, della funzionalità, dell’affidabilità e della resistenza della vettura in generale e dei singoli organi in particolare). La fase terminale delle verifiche di fabbricazione, conclusi l’allestimento e i collaudi dei prototipi di industrializzazione, avviene con la progressiva uscita dalla linea-pilota di montaggio di due successive preserie dell’Alfa 90, composte rispettivamente da 35 e da 40 esemplari, la cui nascita è concomitante con il definitivo “rodaggio”del ciclo produttivo. Parallelamente hanno inizio le procedu e di omologazione del nuovo modello, che si protrarranno complessivamente per tre mesi e mezzo.
Questa sintetica cronistoria ha consentito di mettere in luce il profondo significato che, per la vita aziendale dell’Alfa Romeo, ha rivestito il capitolo relativo alla progettazione, alla sperimentazione e all’avvio produttivo della nuova compatta di qualità che andrà sotto il nome di Alfa 90: significato che va molto al di là di quello della semplice nascita di un nuovo modello, sia per la carica innovativa insita nel prodotto stesso e per il ruolo primario che gli è affidato nella strategia di rilancio della Marca del Biscione, sia per il contemporaneo avvio anche nel complesso produttivo di Arese di significativi cambiamenti dei processi di fabbricazione, all’insegna del “nuovo modo di fare l’auto”. Ma ne è emersa anche la confortante dimostrazione dell’intenso impegno e del convinto auto-coinvolgimento degli uomini che, a tutti i livelli della gerarchia aziendale, sono stati chiamati ad operare in condizioni sotto molti aspetti eccezionali. È evidentemente impossibile citare in questa sede tutti questi uomini.
Una doverosa citazione, che ci auguriamo non lasci troppo scontenti gli esclusi, meritano comunque quelli più direttamente investiti di responsabilità decisionali: Giorgio Guelfi, incaricato con Gian Mario Stucchi del coordinamento del progetto; Lorenzo Rotti, che con Franco Mendicino ha curato lo sviluppo della scocca; Edoardo Rogora, responsabile per l’impianto elettrico (un settore particolarmente impegnativo sull’Alfa 90, vettura profondamente innovativa anche sotto questo specifico aspetto); Giulio Arrigoni, coordinatore della verifica e della sperimentazione; Giorgio D’Auria, responsabile della qualità; Enrico Dolce, che curato tutti gli adempimenti relativi all’omologazione.