Alfa Romeo, motori unici al mondo

 

Fin dall'esordio, nella progettazione e nella realizzazione delle vetture Alfa Romeo, viene privilegiata la sportività. Una caratteristica che trova la sua prima e più importante espressione nella tecnica motoristica. La ricerca di alte prestazioni, dunque, costituisce il DNA della Casa del Biscione. Un impegno che in passato si è tradotto nell'esaltazione delle potenze specifiche alla ricerca di velocità sempre maggiori e che oggi si concretizza nel raggiungimento di nuovi traguardi in fatto di elasticità, flessibilità d'uso, contenimento dei consumi. Vediamo, allora, le principali tappe di questa evoluzione.

 Il primo propulsore realizzato dalla Casa del Biscione nasce nel 1910 per mano di Giuseppe Merosi. Si chiama 24 HP ed è un quattro cilindri in linea, monoblocco in ghisa, distribuzione a valvole laterali. La cilindrata di 4084 cm3 e la potenza erogata (42 CV a 2200 giri/min) permettevano di raggiungere velocità rispettabili: 100 km/h con le prime serie e 105 con le successive.
 Caratteristiche ritenute moderne, all'epoca, erano quelle del sistema di trasmissione, che prevedeva un albero cardanico forgiato in un solo tronco e provvisto di tre supporti di banco, lunghissime bielle a cappello e cuscinetti lisci. Quest'ultima innovativa soluzione, impose a Merosi di sviluppare un opportuno circuito di lubrificazione a pressione, con tanto di pompa a ingranaggi.
 L'affidabilità che contraddistingue il propulsore della 24 HP e le doti di generosa erogazione della coppia attirano l'attenzione dell'industria aeronautica italiana, per la quale Merosi realizza una versione avio che ha, come quella automobilistica, notevole successo.

 Sulla base dell'esperienza del 24 HP, viene sviluppato un altro motore di architettura sostanzialmente identica, ma di cilindrata quasi dimezzata (2114 cm3), che è destinato alle vetture più economiche. Il nuovo propulsore - e le auto che ne sono equipaggiate - vengono chiamate prima 12 HP, poi 15 HP e infine 15-20 HP, in un crescendo che annuncia il succedersi degli incrementi di potenza, anche se la cilindrata rimane invariata.

 Tra le novità del propulsore si segnalano il circuito di raffreddamento, semplificato perché da una raffinata soluzione con pompa per la circolazione dell'acqua si è passati ad una a "termosifone", senza pompa e, quindi, meno costosa. Mentre la distribuzione (sempre a valvole laterali) abbandona la punteria a rullo per adottare quella a puntale.

 Il nuovo quattro cilindri fornisce una potenza consistente già nella prima edizione: 22 CV a 2100 giri/min che aumentano nel 1912 a 25 a 2400 giri/min e, infine, a 28 a 2400 giri/min. Una potenza, quest'ultima, che mantiene dal 1914 fino alla fine della produzione, nel 1920.

 Nel 1912, Merosi avvia lo studio di un terzo motore, concepito per ottenere prestazioni decisamente migliori. Si tratta del 40-60 HP, con il quale la Casa del Portello intende ampliare verso l'alto la propria gamma. L'architettura è ancora a quattro cilindri in linea, ma i centimetri cubi salgono a 6082. È costituito da due monoblocchi in ghisa, con teste fisse, uniti su un basamento comune. La distribuzione è a valvole in testa. La potenza di 82 CV a 2400 giri/min, che spingono la vettura equipaggiata con questo motore ad una velocità massima di 150 km/h.

 Ma il capolavoro del primo progettista dell'Alfa è il Grand Prix del 1914, un quattro cilindri di 4490 cm3 che per l'epoca rappresenta un concentrato di tecnologia d'avanguardia. Per la prima volta, infatti, la distribuzione adotta l'architettura a doppio albero a camme in testa. L'induzione avviene grazie alle quattro valvole per cilindro sistemate a V con un'angolazione di 90°. L'accensione è assicurata da due candele per cilindro. Una soluzione, quest'ultima, che anticipa il moderno Twin Spark 16 valvole. Nel progetto di Merosi, la seconda candela di accensione sopperisce ai limiti sia delle caratteristiche antidetonanti delle benzine del tempo, sia dell'energia disponibile nei sistemi di accensione. E garantisce, soprattutto, una perfetta combustione della carica aspirata tramite una rapida diffusione del fronte di fiamma. La carriera di questo propulsore viene, però, interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

 Al termine del conflitto, l'Alfa Romeo ritorna alla produzione automobilistica di serie rispolverando il quattro cilindri 24 HP. La nuova versione assume la denominazione di 20-30 HP ES. Lo schema è quello classico: quattro cilindri monoblocco a valvole laterali di diametro identico (45 mm) sia per l'aspirazione sia per lo scarico. Cambia, invece, il comando della distribuzione a ingranaggi, sostituito da un sistema con "catena silenziosa". La cilindrata viene leggermente incrementata e passa da 4084 a 4250 cm3. Cresce anche la potenza, da 49 CV a 2400 giri/min a 67 CV a 2600 giri/min e aumenta la velocità: 130 km/h.

 Il 20-30 HP ES rimane in produzione fino al 1922. Esce di scena mentre Merosi lavora ad una nuova generazione di propulsori. Il primo è il G1, che rappresenta un giro di boa nella filosofia progettuale di Merosi. Si tratta, infatti, di un sei cilindri in linea, con struttura biblocco, cioè con due unità di tre cilindri ciascuna accoppiate. Dall'esperienza del 20-30 HP si riconoscono la collocazione dell'albero a camme comandato da catena che si trova nella stessa posizione all'interno del basamento e la distribuzione a valvole laterali. La cilindrata è di 6330 cm3, la velocità massima di 120 km/h e la potenza di 70 CV. La scelta, dunque, è quella di una potenza morbida che appare giusta per un propulsore destinato ad equipaggiare vetture di gran lusso.

 Il motore a 6 cilindri monoblocco in ghisa con distribuzione a valvole in testa comandate da aste e bilancieri viene studiato da Merosi verso la fine del 1920, in previsione del nuovo regolamento sportivo che poneva il limite dei 3 litri di cilindrata per le vetture partecipanti a competizioni internazionali. L'RL esce nel 1922 e segna il definitivo affermarsi della Casa del Biscione in campo agonistico. Elegante nelle linee, slanciato e razionale nella disposizione degli organi accessori, eroga una potenza di 56 CV a 3200 giri/min per una cilindrata di 2916 cm3. La velocità massima raggiunta dalla vettura spinta da questo propulsore è di 110 km/h.
 L'RL esce in più versioni, riunite nel 1925 sotto la sigla RM Unificata. Tra queste si segnala quella da 3620 cm3 capace di produrre una potenza di 125 CV a 3800 giri/min per una velocità di 180 km/h. Prestazione che colse di sorpresa la concorrenza e sancì definitivamente la leggenda Alfa Romeo nelle competizioni.

 Dal sei cilindri RL Merosi ricava, nel 1923, anche una edizione più piccola, al limite dei 2 litri e con due cilindri in meno. Si tratta dell'RM, proposto inizialmente: nella Normale, con una cilindrata di 1944 cm3 e una potenza di 40 CV a 3000 giri/min; nella Sport, con una cilindrata da 1996 e una accresciuta potenza di 44 CV a 3200 giri/min. Nel 1925 con la RM Unificata viene adottata la cilindrata di 1996 cm3. L'affinamento dell'alimentazione, per la quale si impiega un carburatore orizzontale, consente di portare la potenza a 48 CV ottenuti ad un regime di 3500 giri/min.
 Il disegno di una nuova biposto da Gran Premio viene affidato nel 1923 a Vittorio Jano, giovane progettista torinese, cui va il merito di aver introdotto sulle Alfa Romeo (e sviluppato con eccezionale competenza) la sovralimentazione. Tecnica, quest'ultima, nella quale la Casa del Biscione seppe imporsi in ambito mondiale per un arco di venticinque anni.

 Per il suo motore da competizione, il P2, Jano sceglie la configurazione a otto cilindri in linea, riuniti in quattro sotto-blocchi di due, allo scopo di ridurre i rischi di distorsione dei carichi termici, nei quali incappavano gli analoghi propulsori dell'epoca. L'albero è in due pezzi, connessi al centro, ruotanti su dieci supporti con semigabbie a rulli. La distribuzione è a due alberi a camme in testa. Le valvole hanno un identico diametro (35,5 mm) e sono fortemente inclinate (104 gradi invece dei tradizionali 90). L'alimentazione è assicurata da un compressore di dimensioni molto compatte a doppio stadio e lobi controrotanti, noto come Roots.

 Per un due litri la potenza è considerevole. L'otto cilindri P2 sviluppa, infatti, 140 CV a 5500 giri/min. Nel 1924 è una potenza vincente, tanto più che è sostenuta da un'affidabilità sconosciuta agli avversari. Inoltre, il motore gira in piena affidabilità a 6500 giri/min, mentre i migliori concorrenti si devono fermare al limite dei 5500 giri/min.

 Il propulsore conosce un primo incremento della sua già rilevante potenza alla fine del 1925, quando passa dai 140 iniziali ai 155 CV e un secondo nel 1930 quando diventano 175 al regime invariato di 5500 giri/min. È il 1931 quando l'otto cilindri esce di scena.
 Per mettere a frutto i brillanti successi della P2 viene chiesto a Jano di porre mano allo studio di un nuovo propulsore e, insieme, all'autotelaio destinato ad ospitarlo. Jano elabora il progetto di un motore, il 6C 1500, totalmente innovativo rispetto alla tradizione dei propulsori Alfa Romeo.
 Si tratta, infatti, di un sei cilindri in linea, con cilindrata di 1487 cm3 (44 CV a 4200 giri/min) che ha due punti di forza. Innanzitutto è "modulare". E poi, rispetto ai 1987 cm3 dell'otto cilindri del P2, risponde anche al desiderio dell'Alfa Romeo, che vuole collocare i nuovi modelli in una posizione intermedia fra le "utilitarie" da un litro e le "lusso" da due litri.

 Il 6C 1500, denominato poi Normale, ha blocco cilindri e testa in ghisa. La distribuzione, inizialmente comandata da un unico albero a camme in testa, subisce nel tempo alcune modifiche. E sul modello Sport, verso la fine degli anni Venti, diventa bialbero. Nasce, così, lo schema tipico del motore Alfa Romeo, con due alberi a camme in testa, valvole inclinate e camera emisferica.
 Massima espressione dello stile e della tecnologia dell'epoca è il sei cilindri 1750, progettato da Jano nel 1929. La prima versione del motore ha distribuzione monoalbero e valvole parallele oltre che perpendicolari al piano della testa. Con un carburatore verticale ed un rapporto di compressione di 5,5:1, il 6 cilindri produce una potenza di 46 CV a soli 4000 giri/min, con grande coppia disponibile già ai bassi regimi.

 Procedendo per successivi stadi di sviluppo, Jano elabora immediatamente edizioni successive: Sport, Gran Turismo, Super Sport, "Testa Fissa" (dove la testa è fusa in una struttura monolitica con il blocco cilindri), Gran Sport, Gran Turismo Compressore. Tra le peculiarità meccaniche si segnalano: la distribuzione a due assi a camme in testa della 6C 1750 Sport terza serie; la sovralimentazione a compressore volumetrico della Super Sport; il dispositivo regolabile applicato al collettore di aspirazione per il preriscaldamento della miscela della Gran Turismo; il compressore montato direttamente sull'albero motore e il carburatore a doppio corpo collocato sul lato sinistro della Gran Sport.

 Simbolo di altissime prestazioni e di totale affidabilità anche a fronte di prove che risultano durissime per la gran parte delle concorrenti, la 6C 1750 è l'emblema delle capacità progettuali ed esecutive dell'Alfa Romeo, che con questo propulsore dimostra di essere all'avanguardia nell'ingegneria motoristica di base.

 Intanto le caratteristiche meccaniche dei nuovi materiali e le benzine più "secche", distillate per l'aviazione, consentono notevoli passi avanti nel campo delle prestazioni. È il 1931 quando viene realizzato il primo derivato del 6C 1750, attraverso uno sviluppo "modulare" dell'originale. Si aggiungono, infatti, due cilindri ai sei ottenendo un otto cilindri in linea di 2300 cm3.
 Alimentato da un carburatore verticale, l'8C 2300 della prima generazione fornisce una potenza di ben 142 CV a 5000 giri/min. Rispetto al 6 cilindri, le modifiche principali riguardano la bancata dei cilindri, fusa in due semiblocchi dapprima in ghisa poi in lega leggera, e la distribuzione (bialbero in testa) comandata da una cascata di ingranaggi posta al centro del motore.
 La versione Gran Turismo, proposta in combinazione con autotelai in due misure di passo, dà vita a spider e coupé di finissima qualità estetica, capaci di velocità sul filo dei 170 km/h. Un ulteriore sviluppo del motore produce un incremento della potenza di 13 CV: dai 142 originali a 155 a 5200 giri/min. Alla fine del 1932 una modifica alla distribuzione consente di incrementare il regime di potenza massima fino a 5400 giri/min. La potenza sale perciò a 165 CV e con essa la velocità massima. La 8C 2300 Spider Corsa supera la soglia dei 200 km/h, fino al limite di 215 km/h.
 Il primo motore Alfa Romeo di serie con testa in alluminio è il 6C 1900 del 1933. Si tratta di un modello destinato all'uso stradale e l'alimentazione è atmosferica, con un carburatore a doppio corpo verticale. La cilindrata è di 1917 cm3 e la potenza di 68 CV a 4500 giri/min. Spinta da questo motore la vettura raggiunge la velocità massima di 130 km/h.

 Nel 1935 Vittorio Jano mette a punto il progetto di un propulsore ancora più avanzato: il V12 di 4064 cm3. È una rivoluzione in casa Alfa Romeo, dove, fino ad allora, erano stati progettati e costruiti solo motori in linea. Il nuovo propulsore è in alluminio, con teste in blocco con i cilindri. Le valvole, ambedue di 35 mm, sono a un angolo incluso di 104 gradi e sono comandate da due alberi a camme in testa per ciascuna bancata. Questi ultimi vengono mossi da una cascata di ingranaggi posta all'estremità posteriore del blocco. La potenza, di 370 CV a 5800 giri/min, garantisce una velocità di 290 km/h.

 Sotto la direzione dell'ingegner Gioacchino Colombo, nel 1938, nasce il Tipo 158, un motore razionale e compatto, allestito per rispondere ai regolamenti istituiti dalle autorità sportive verso la fine degli Anni Trenta. Queste, infatti, oltre a fissare il limite di cilindrata a 3 litri, avevano deciso di accogliere nelle competizioni anche le "vetturette" da un litro e mezzo.
 Irrompono, dunque, sulla scena le leggendarie "Alfette", con le quali l'Alfa domina i campi di gara anche negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale.

 Il motore è un 8 cilindri in linea biblocco, di 1473 cm3 di cilindrata. Sovralimentato da un solo compressore, sviluppa - inizialmente - una potenza di 195 CV a 7200 giri/min. Nel 1939 la potenza raggiunge i 225 CV a 7500 giri/min, valore eccezionale per l'epoca, e cresce ancora nel Dopoguerra (275 CV nella versione del 1947 e 350 CV in quella del 1950).

 Nel 1939, la direzione tecnica Alfa Romeo mise in cantiere la Tipo 512, vettura da Gran Premio che avrebbe dovuto raccogliere i frutti della supremazia tecnologica della Tipo 158. L'originalità del progetto consiste nella posizione posteriore e centrale del motore, il primo a 12 cilindri contrapposti (meglio conosciuto oggi come boxer). Ma il 512 vanta anche un altro primato: è, infatti, il primo propulsore "quadrato", cioè con il diametro dell'alesaggio (di 54 mm) uguale alla lunghezza della corsa, la più corta nella storia delle macchine da Gran Premio.

 Tra le altre particolarità: le teste dei pistoni in alluminio e il basamento in lega di magnesio. Mentre la distribuzione bialbero, con comando a cascata di ingranaggi e le camme che agiscono sulle valvole con l'interposizione di punterie a dito, è una soluzione ancora oggi considerata tra le più efficaci per ridurre sia le spinte trasversali sullo stelo della valvola sia gli attriti. L'alimentazione è gestita da due compressori volumetrici a due lobi di costruzione Alfa Romeo. La cilindrata è di 1490 cm3, la potenza di ben 335 CV a 8600 giri/min. La vettura viene provata in pista nel 1940 e perfezionata nel 1941, ma gli eventi bellici non permettono ulteriori sviluppi.
 I primi anni successivi al conflitto sono dedicati allo studio di modelli destinati a rilanciare le sorti del Marchio. Il compito viene affidato ad Orazio Satta, che definisce un programma operativo all'inizio del 1948. Il suo lavoro si concretizza con la 1900, una vettura semplice e razionale, di caratterizzazione decisamente sportiva.

 Nella meccanica si ritorna, dopo un quarto di secolo, all'impostazione classica dell'Alfa Romeo: quattro cilindri a valvole in testa, ma questa volta con distribuzione a doppio albero comandata da catena. Grazie a questa architettura, il propulsore assicura una considerevole potenza abbinata ad elevate prestazioni: 80 CV a 4800 giri/min per una velocità massima di 150 km/h. Sulla 1900 T.I. fa la sua comparsa il motore a "carburazione singola": due carburatori a doppio corpo e condotti di scarico separati per ogni singolo cilindro. Le due modifiche portano la potenza da 100 a 120 CV e verranno in seguito adottate da tutti i successivi modelli Alfa.

 Devono, però, trascorrere ancora alcuni anni prima che l'Alfa Romeo possa inserirsi con autorità in quella categoria di vetture che oggi vengono definite "medie" o "medio-grandi". Protagonista di questa radicale evoluzione è la Giulietta, equipaggiata da un brillante motore di piccola cilindrata (1290 cm3), quindi più economica e alla portata di una fascia d'utenza più vasta. Le eccellenti doti del suo quattro cilindri bialbero vengono trasferite anche al modello successivo, la Giulia, proposta inizialmente con cilindrata da 1570 e, più tardi, con motore da 1290 cm3.
 Nella gamma di questo modello, spicca la versione sportiva GTA (Gran Turismo Alleggerita) con la quale l'Alfa Romeo si aggiudica negli anni 1966, 1967 e 1968 il Challenge europeo. In particolare, il motore della GTA Sovralimentata (1570 cm3 di cilindrata) sviluppa una potenza di 220 CV a 7500 giri/min. Il gruppo di sovralimentazione è di concezione Alfa Romeo ed è composto da due compressori centrifughi, ciascuno coassiale a una turbina azionata dall'olio messo in pressione da una pompa. Il pregio di questa sovralimentazione consiste nel fornire un'elevata potenza, pur con l'uso di carburante normale, grazie anche a iniezioni d'acqua nei condotti di alimentazione per favorire un buon raffreddamento della miscela nella camera di scoppio. La vettura equipaggiata con questo motore fa registrare una velocità massima di 240 km/h e conquista molte vittorie di categoria.
 L'Alfasud, presentata al Salone di Torino del 1971, si distacca dalla tradizione del marchio: è, infatti, la prima auto di serie prodotta dalla casa del Biscione che adotta la trazione anteriore. Originale anche l'architettura del motore, un quattro cilindri boxer di 1.2 litri di cilindrata, con assi a camme in testa. In questa versione il propulsore assicura una potenza di 63 CV a 6000 giri/min ed una velocità di 152 km/h.

 Capostipite di una lunga serie di propulsori, il boxer equipaggerà in seguito tutta la gamma delle "33", cambiando solo cilindrata (da 1300 a 1700 cm3) e distribuzione (a due o quattro valvole per cilindro). Legate alle prestazioni di questo motore sono la 33 TT 12 e la 33 SC 12 che dominano e vincono il Campionato Mondiale Marche rispettivamente nel 1975 e nel 1977. Ad equipaggiare la 33 TT 12 è un 12 cilindri contrapposti di 3000 cm3, realizzato in lega di alluminio e magnesio capace di sviluppare 500 CV a 11 mila giri/min. Lo stesso propulsore viene montato sulla 33 SC 12, ancora potenziato a 520 CV ottenuti ad un regime di rotazione di 12 mila giri/min.
 Tanti i vantaggi del boxer, tra i quali l'eliminazione delle vibrazioni abituali dei quattro cilindri in linea, che migliora l'elasticità di marcia e il comfort. Grazie alla sua architettura, inoltre, questo tipo di motore ha un ingombro verticale molto contenuto, caratteristica destinata a influire sulla forma finale del veicolo, poiché permette di realizzare linee del cofano molto basse e aerodinamicamente efficaci.

 Nel 1976 esce la versione diesel della Giulia. Il motore è un quattro cilindri "Perkins" di 1760 cm3 con tre supporti di banco e, rispetto alle versioni montate sui veicoli commerciali, beneficia di alcune modifiche alla coppa dell'olio, all'impianto di raffreddamento e alla flangia di attacco del cambio. Costruito interamente in ghisa e alimentato con iniezione indiretta Lucas e pompa di tipo rotativo, il propulsore sviluppa 52 CV (secondo le norme DGM) a 4000 giri/min, per una velocità di 133 km/h. Ma più che le prestazioni sono interessanti i consumi: a 90 km/h si percorrono oltre 18 chilometri con un litro di gasolio.

 Un altro primato motoristico dell'Alfa Romeo è legato all'Alfetta del 1979, prima auto italiana proposta anche in versione turbodiesel. È da rilevare l'originale soluzione del basamento del motore, che ha una conformazione particolare detta "a tunnel", mentre la testata è composta da quattro pezzi singoli, uno per ogni cilindro. La soluzione permette di sopportare meglio le sollecitazioni termiche (e le conseguenti deformazioni) e d'impiegare gli stessi componenti per motori con frazionamenti diversi. La cilindrata è di 1995 cm3 per una potenza massima di 82 CV (secondo norme DGM) a 4300 giri/min. La velocità è di 155 km/h.

 La versione 2.0i "Quadrifoglio Oro", del 1983, aggiunge un sistema integrato d'iniezione e accensione elettronica Bosch Motronic e un dispositivo di regolazione della fase di distribuzione. Quest'ultimo, agendo sull'albero a camme relativo alle valvole di aspirazione, ne anticipa o ne ritarda il momento di apertura permettendo un riempimento ideale delle camere di scoppio, indipendentemente dal regime del motore. Il dispositivo si rileva molto efficace e inaugura una vera e propria tendenza tecnica che negli anni seguenti sarà ripresa anche da altre Case.

 È il 1986 quando il turbo Garrett viene montato anche sulle berline di serie dell'Alfa Romeo. Il sistema nasce dalla tecnica aeronautica, applicata alle competizioni automobilistiche per incrementare potenze e prestazioni. Il dispositivo è formato da un gruppo turbina-compressore che utilizza l'energia contenuta nei gas di scarico per aumentare la pressione dell'aria di alimentazione e permettere di bruciare maggior quantità di benzina nell'unità di tempo. Il motore equipaggiato con il turbo Garrett presenta caratteristiche particolari, come la distribuzione a doppio albero in testa, raffreddamento ad acqua per ridurre gli stress del turbo alle alte temperature, l'intercooler, che fornisce le massime prestazioni proprio nelle fasi di accelerazione, quando la temperatura tende a salire (l'intercooler, infatti, funzionando da volano termico, mantiene la temperatura entro limiti contenuti) e il cut-off. Quest'ultimo esclude l'alimentazione di tutti i cilindri durante le fasi di rilascio e di decelerazione, assicurando un maggior effetto frenante e una riduzione dei consumi.

 L'anno successivo nascono i Twin Spark a 16 valvole, una nuova famiglia di propulsori innovativi e all'avanguardia per tecnologia costruttiva. Il motore - impiegato sino ad allora con successo nella Formula 3 - debutta sulle vetture di grande serie con Alfa 75. La cilindrata è di 1962 cm3 e la potenza massima erogata è di 145 CV a 5800 giri/min.
 La novità principale del Twin Spark è costituita dalla doppia accensione, per cui ogni cilindro si avvale di due candele. Una seconda importante caratteristica tecnica del motore è rappresentata dalla testa dei cilindri con la disposizione delle valvole a V stretto (46 gradi contro i precedenti 80). Inedito anche il sistema elettronico digitale che rende possibile il controllo e l'ottimizzazione di ogni fase del ciclo termodinamico. Il variatore di fase (brevettato dall'Alfa Romeo), infine, agisce sull'albero a camme in testa modificando la fasatura delle valvole di aspirazione e di scarico. Il dispositivo consente di ottenere una coppia molto elevata fin dai bassi regimi.

 Tanti i vantaggi del Twin Spark, che permette di realizzare vetture più scattanti, potenti e allo stesso tempo anche più ecologiche. L'ottimizzazione della combustione, infatti, assicura una riduzione dei consumi e delle emissioni.

 Il motore viene impiegato con grande successo sulla gamma di Alfa 164 e Alfa 155. Migliorato e in versione sportiva è montato sulla 155 T.S. D2, la vettura che vince il Campionato Spagnolo Turismo nel 1995. Nello stesso anno viene presentato in tre cilindrate: 2.0 (150 CV a 6200 giri/min), 1.8 (140 CV a 6300 giri/min) e 1.6 (120 CV a 6300 giri/min). Più tardi, a metà del 1997, si aggiunge la cilindrata 1.4 (103 CV a 6300 giri/min), mentre per il lancio di Alfa 156 le cilindrate 2.0 e 1.8 si arricchiscono dell'aspirazione con condotti a lunghezza variabile, che consente un ulteriore incremento delle prestazioni di circa 5 CV e una riduzione di 500 giri/min del regime di coppia massima.

 Nel 1998 arriva il sistema d'iniezione diretta Unijet "Common Rail", un motore che rivoluziona lo scenario dei propulsori a gasolio. Permette, infatti, di ottenere risultati normalmente incompatibili tra loro: aumento delle prestazioni e diminuzione dei consumi. Tutto ciò grazie all'adozione di una pressione d'iniezione elevata (1350 bar), al controllo elettronico della stessa nei singoli iniettori (la pressione, perciò, è svincolata dai giri del motore) e all'iniezione pilota, che preriscaldando la camera di combustione evita il picco di pressione e di conseguenza la rumorosità tipica dei motori diesel ad iniezione diretta tradizionali (fino a 8 dB in meno).
 I dati tecnici del nuovo propulsore confermano: il quattro cilindri 1.9 JTD sviluppa 105 CV e una coppia di 26 kgm a 2000 giri/min, mentre il cinque cilindri 2.4 JTD eroga 136 CV di potenza e 31 kgm di coppia sempre a 2000 giri/min. Entrambi i propulsori hanno brillantezza e prestazioni che non fanno rimpiangere i motori a benzina.

 Equipaggiata con il 1.9 JTD, l'Alfa 156 raggiunge una velocità massima di 188 km/h, accelera da 0 a 100 km/h in 10,5 secondi e riprende in quarta marcia da 60 a 100 km/h in 7,2 secondi (10,2 secondi in quinta da 80 a 120 km/h).
 Con un'architettura a 5 cilindri, il 2.4 JTD ha una cilindrata di 2387 cm3, una potenza di 136 CV e dispone di una coppia di 31 kgm. Spinta da questo propulsore l'Alfa 156 ha una velocità massima di 203 km/h, accelera da 0 a 100 km/h in 9,5 secondi e rivela ottime capacità di ripresa: 7,1 secondi in quarta per passare da 60 a 100 km/h e 9,8 secondi in quinta per passare da 80 a 120 km/h. Contenuti i consumi rilevati secondo il nuovo ciclo "combinato" ECE (percorso urbano più EUDC - percorso extraurbano): sono di 5,8 l/100 km per il 1.9 JTD e 6,7 l/100 km per il 2.4 JTD.

 Ad analoghi risultati giunge anche il 2.4 JTD dell'ammiraglia del marchio. Così equipaggiata, Alfa 166 raggiunge una velocità massima di 202 km/h e accelera da 0 a 100 km/h in 9,9 secondi. Diversi invece i dati di ripresa a seconda del cambio a cinque o a sei marce: da 60 km/h sui 1000 metri in sesta marcia, la vettura fa registrare 34 secondi con il cambio di serie e 38 con quello opzionale. Ridotti comunque i consumi, rilevati secondo la nuova norma ECE (percorso urbano), più EUDC (percorso extraurbano): 6,9 l/100 km con i rapporti lunghi e 7,3 l/100 km con quelli corti.


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