IL BORMBARDAMENTO DEL PORTELLO - di Lorenzo Ardizio - Dalla rivista IL QUADRIFOGLIO - Prima puntata
In questo 2013 che sta finendo l’Alfa Romeo ha ricordato molti anniversari: la nascita del Quadrifoglio (quello dipinto per la prima volta sulla RL nel 1923 e poi divenuto uno dei simboli più amati), della Giulia Sprint GT, dell’Autodelta, dell’Alfa 33… e l’elenco sarebbe ancora molto lungo.
Molte grandi pagine di storia che il Riar ha voluto festeggiare ed onorare con le sue iniziative. Ma, sempre nel 2013, ben altri avvenimenti meritano di essere ricordati e commemorati: settant’anni fa, nel 1943, gli stabilimenti dell’Alfa Romeo – Pomigliano prima ed il Portello in seguito – furono duramente colpiti dai bombardamenti, che lasciarono sul terreno decine di vittime fra i dipendenti.
Il 30 maggio 1943, alla vigilia dello sbarco degli Alleati in Sicilia (avvenuta il 10 luglio), centinaia di bombardieri americani raderanno al suolo il grande stabilimento aeronautico: le vittime saranno 23, molti di più i feriti ed incalcolabili i danni, solo mitigati dal fatto che buona parte delle attrezzature erano state preventivamente decentrate nelle grotte di Capodimonte e San Rocco. I pochi edifici rimasti in piedi verranno poi minati e distrutti dai tedeschi in ritirata.
Ben diversa è la situazione al Nord: gli Alleati hanno iniziato a bombardare Milano, Genova, Torino e le principali installazioni industriali per interrompere le attività produttive e fare pressione sul governo Badoglio perché si convinca alla resa. In realtà, già nei mesi precedenti era stata decisa la completa distruzione delle tre città, fortunatamente sospesa con il prospettarsi dell’Armistizio.
I primi passi di Badoglio faranno infatti “dirottare” circa 15.000 tonnellate di bombe, inizialmente destinate agli obiettivi italiani, sul quelli tedeschi. In ogni caso, saranno frequenti le incursioni dei bombardieri nei cieli del capoluogo lombardo, molte delle quali avranno come bersaglio proprio l’Alfa Romeo, una fabbrica grande, efficiente e, già dal 1935, sotto il controllo militare.
Il primo attacco diurno è datato 14 febbraio 1943: nei reparti sono al lavoro circa 8500 operai, di cui 12 perderanno la vita. In realtà moltissime saranno le vite salvate dai sistemi di allarme e dalla disponibilità di numerosi rifugi e torri-bunker in tutto lo stabilimento (alcune di queste strutture in cemento armato, dal tetto conico e appuntito, saranno visibili ancora per molti anni dopo la guerra) se si pensa che oltre il 30% dello stabilimento verrà raso al suolo. Ingenti i danni produttivi, superati solo dalla gravissima perdita di parte degli archivi: migliaia di documenti storici – oggi inestimabili – andranno in fumo.
Un secondo bombardamento avrà luogo qualche mese più tardi, il 13 agosto, ma la più micidiale delle incursioni verrà portata a termine il 20 ottobre 1944, quando il conflitto già volge al termine e la presenza tedesca in Italia è ormai ridotta ai minimi termini.
La missione RAF 91 è composta da 103 bombardieri B-24, appartenenti rispettivamente al 461°, al 484° ed al 451° “Bomb Group”. Decollati da Foggia alle 7.78, attraverseranno l’Italia per nulla impensieriti dalla caccia tedesca, già malridotta e da tempo concentrata sulla difesa delle martoriate città tedesche. Milano è invece del tutto scoperta: nemmeno la contraerea è più in attività. Le tre squadre si dirigono sulla città ma se una riuscirà a colpire gli obiettivi senza problemi, una seconda sarà costretta per problemi tecnici a liberarsi del proprio “carico” in aperta campagna, nei pressi di Saronno. La terza squadra invece commetterà un errore di rotta, risultando sfasata di 22 gradi rispetto agli obiettivi principali: invece di rinunciare, verrà presa la decisione di sganciare comunque, sebbene ormai sotto agli aerei non vi siano più le fabbriche della Breda, della Marelli, della Pirelli o dell’Alfa Romeo, ma solo il quartiere residenziale di Gorla. Alle 11.24 vengono sganciate 342 bombe da 500 libbre sulle abitazioni, sui negozi, sulle officine, causando 703 morti, centinaia di feriti e radendo al suolo l’intero quartiere. In particolare, uno degli ordigni andrà a colpire in pieno la scuola elementare, lasciando sotto le macerie 184 bambini, 20 insegnanti ed altri 18 bambini fra le braccia delle proprie madri che erano accorse a scuola sentendo le prime esplosioni. Un sacrificio, quello dei “piccoli martiri” che lascerà una ferita profonda nella città di Milano, che nessuno dei testimoni riuscirà a dimenticare, come sottolineato dall’incredibile e toccante testimonianza di Gian Paolo Garcéa all’epoca fra i più stretti collaboratori di Orazio Satta Puliga: “Mancava poco a mezzogiorno quando, quel 20 Ottobre del 1944, a Milano le sirene dell’allarme cominciarono a ululare. La cosa non preoccupò molto. Erano soltanto gli allarmi notturni che venivano presi sul serio: quasi tutti saltavano giù dal letto. l più timorosi uscivano con il cappotto infilato sul pigiama; i più tranquilli si vestivano da capo a piedi.
Molto spesso sceglievano, giudicata più sicura, la cantina della casa vicina. Per la strada potevano vedere già la città illuminarsi sotto ai bengala che scendevano lenti, appesi ai piccoli paracadute; potevano sentire i primi scoppi. Di giorno invece durante l’allarme poche volte si era fatto vivo a Milano il “Pippo”, il caccia inglese specialista in mitragliamenti da bassa quota: in quei casi bastava un portone per sentirsi al sicuro.
Mentre ancora le sirene stavano ululando, quel 20 Ottobre del 1944, Orazio Satta passò a prelevarmi in ufficio: “Approfittiamo per andare a colazione”. Attraversammo tutto lo stabilimento fino alla portineria su via Gattamelata. Molti si avviavano con calma ai sottopassaggi di accesso alle cinque o sei grandi torri-bunker in cemento armato, allineate in via Renato Serra: cinquecento persone ciascuna, sulle panche che arredavano le rampe elicoidali interne. Ma molti preferivano uscire anche quella volta, come noi; e allontanarsi, godendosi il sole, dall’obbiettivo dell’eventuale incursione, lo stabilimento. Che quell’allarme fosse diverso dagli altri ci accorgemmo subito imboccando viale Teodorico: in fondo al viale, oltre i platani di Piazza Firenze, bassa sull’orizzonte per la lontananza, stava sfilando una grossa formazione di bombardieri.
(Continua...)